Un recente articolo del Corriere della Sera (clikka
qui) effettua una ricognizione sulla situazione della libertà di
espressione in Turchia. Sono in atto numerosi procedimenti giudiziari a carico di
attivisti, giornalisti, scrittori e avvocati, responsabili
di aver formulato critiche nei confronti di organi istituzionali o di aver
espresso liberamente le proprie idee politiche. Le notizie provengono da un
rapporto di Amnesty International, che ha attentamente monitorato la situazione
dello Stato turco, precisando che sono in vigore dieci articoli strumentali
alla repressione della libertà di parola. Gli articoli, che fanno parte del Codice
Penale promulgato nel 2005, sono: il 301 (“denigrazione della nazione turca”), il
318 (“allontanamento del pubblico dal servizio militare”), il 125
(“diffamazione”), il 215 (“apologia di un crimine o di un criminale”), il 220/6
(“commissione di un crimine in nome di un’organizzazione terrorista”), 220/7
(“assistenza a organizzazione terrorista”), il 216 (incitamento all’odio o
all’ostilità”) e il 314 (“appartenenza a organizzazione terrorista”). Altri due
sono contenuti nella Legge per il contrasto del Terrorismo del 1991:
il 6/2 (“stampa o pubblicazione di dichiarazioni o affermazioni di
organizzazioni terroriste”), e il 7/2 (“propaganda terrorista”). Il Parlamento
sta esaminando un pacchetto di riforme, ma non sembra che ci sia la volontà per
allineare la normativa nazionale ai più garantisti standard internazionali. In particolare, sarebbe necessario fissare
prioritariamente una chiara definizione della nozione di terrorismo. Amnesty International, nel suo rapporto ha
evidenziato che, al contrario, la
normativa antiterrorismo, anziché avere un'applicazione ristretta data la sua
specialità, è stata ampliata nell'applicazione fino a consentire
arbitrariamente la criminalizzazione nei
confronti di legittime espressioni di pensiero o nei confronti della partecipazione
a manifestazioni legittime o alla militanza
in organizzazioni e gruppi politici riconosciuti. Il regime è particolarmente
sensibile alle iniziative in favore dei curdi. Nel 2008 è stato sufficiente a
7000 persone parlare del leader curdo Ocalan attualmente in carcere per essere
incriminati. L'articolo del Corriere
della Sera, mutuandoli dal Rapporto di Amnesty, contiene alcune storie
individuali che confermano questo trend repressivo. Quando un Regime attacca le
libertà personali significa che sta vivendo un momento di debolezza e cerca di
fiaccare l'opposizione interna con attività repressive, mentre nello stesso
tempo viene praticata una politica intimidatoria nei confronti della stampa che
non appoggia il Regime. Al contrario la Turchia potrebbe avere ambizioni per
svolgere un ruolo di spessore internazionale nella mediazione fra mondo islamico ed Europa, ed
anche nel conflitto israelo-palestinese. Ma questo richiederebbe una solida
pacificazione interna. ROBERTO RAPACCINI