giovedì 3 gennaio 2013

30. LA LIBERTA' DI PENSIERO IN TURCHIA




Un recente articolo del Corriere della Sera  (clikka qui) effettua una ricognizione sulla situazione della libertà di espressione in Turchia. Sono in atto numerosi procedimenti giudiziari a carico di attivisti, giornalisti, scrittori e avvocati, responsabili di aver formulato critiche nei confronti di organi istituzionali o di aver espresso liberamente le proprie idee politiche. Le notizie provengono da un rapporto di Amnesty International, che ha attentamente monitorato la situazione dello Stato turco, precisando che sono in vigore dieci articoli strumentali alla repressione della libertà di parola. Gli articoli, che fanno parte del Codice Penale promulgato nel 2005, sono: il 301 (“denigrazione della nazione turca”), il 318 (“allontanamento del pubblico dal servizio militare”), il 125 (“diffamazione”), il 215 (“apologia di un crimine o di un criminale”), il 220/6 (“commissione di un crimine in nome di un’organizzazione terrorista”), 220/7 (“assistenza a organizzazione terrorista”), il 216 (incitamento all’odio o all’ostilità”) e il 314 (“appartenenza a organizzazione terrorista”). Altri due sono contenuti nella Legge per il contrasto del Terrorismo del 1991: il 6/2 (“stampa o pubblicazione di dichiarazioni o affermazioni di organizzazioni terroriste”), e il  7/2 (“propaganda terrorista”). Il Parlamento sta esaminando un pacchetto di riforme, ma non sembra che ci sia la volontà per allineare la normativa nazionale ai più garantisti standard internazionali.  In particolare, sarebbe necessario fissare prioritariamente una chiara definizione della nozione di terrorismo.  Amnesty International, nel suo rapporto ha evidenziato che, al contrario,  la normativa antiterrorismo, anziché avere un'applicazione ristretta data la sua specialità, è stata ampliata nell'applicazione fino a consentire arbitrariamente la criminalizzazione  nei confronti di legittime espressioni di pensiero o nei confronti della partecipazione a manifestazioni legittime o  alla militanza in organizzazioni e gruppi politici riconosciuti. Il regime è particolarmente sensibile alle iniziative in favore dei curdi. Nel 2008 è stato sufficiente a 7000 persone parlare del leader curdo Ocalan attualmente in carcere per essere incriminati.  L'articolo del Corriere della Sera, mutuandoli dal Rapporto di Amnesty, contiene alcune storie individuali che confermano questo trend repressivo. Quando un Regime attacca le libertà personali significa che sta vivendo un momento di debolezza e cerca di fiaccare l'opposizione interna con attività repressive, mentre nello stesso tempo viene praticata una politica intimidatoria nei confronti della stampa che non appoggia il Regime. Al contrario la Turchia potrebbe avere ambizioni per svolgere un ruolo di spessore internazionale nella  mediazione fra mondo islamico ed Europa, ed anche nel conflitto israelo-palestinese. Ma questo richiederebbe una solida pacificazione interna. ROBERTO RAPACCINI