martedì 18 dicembre 2012

18. LE MILIZIE ISLAMICHE RADICALI NELL’AFRICA OCCIDENTALE E IL LORO LEGAME CON AL QAEDA



In Algeria nelle elezioni legislative del 1992 il Fronte Islamico per la Salvezza vinse ampiamente il primo turno; si avvicinava il secondo turno che, se si fosse svolto, avrebbe decretato la vittoria degli islamici, che così sarebbero andati al potere. Tuttavia, l’esercito volle impedire questa possibilità; pertanto intervenne prima del secondo turno per interrompere il naturale svolgimento del processo elettorale. Si originò così la guerra civile nell’ambito della quale nacque il gruppo armato GIA, che poi evolvendosi diventò nel 1997 il GSPC, ovvero il Gruppo Salafita per la Predicazione ed il Combattimento. Le pressioni dell’apparato di sicurezza  algerino, uno dei più potenti di questa subregione, i cui appartenenti si avvalevano anche di mezzi non convenzionali come esecuzioni extragiudiziarie, rapimenti e sparizioni di oppositori, riuscì a determinare la fuoriuscita dal Paese di una considerevole parte dei membri di questi gruppi fondamentalisti ed eversivi. Questi individui si rifuggiarono soprattutto nelle zone di frontiera fra Algeria, Mauritania e Niger, evitando di andare verso la Tunisia, la Libia,  o altri Stati del  Nord-Africa mediterraneo, in quanto questi Paesi erano maggiormente attrezzati per il loro respingimento; diversamente Paesi come la Mauritania, il Niger e il Mali non avevano le risorse umane e tecnologiche per un adeguato controllo transfrontaliero. Così terroristi islamici  si radicarono facilmente in queste regioni dove poterono sviluppare le loro attività. Prima del loro arrivo in queste aree erano già in atto traffici di ogni genere, compresi quelli di armi e di droga. Nel 2007 il traffico delle sostanze stupefacenti raggiunse le 50 tonnellate; i proventi  servirono ad arricchire la malavita locale con la quale i terroristi nuovi arrivati presto solidarizzarono in affari. I terroristi si arricchirono anche attraverso i sequestri di cittadini occidentali. Negli ultimi dieci anni i Paesi occidentali tra cui l’Italia hanno pagato fra i 50 e gli 80 milioni di euro di riscatti; queste somme hanno consentito l'acquisizione di una rilevante potenza finanziaria da destinare al reclutamento di milizie e clientelismi locali, e all'acquisto di armi. Peraltro in queste regioni la presenza della polizia spesso latita e questo ha facilitato nel tempo una  padronanza del territorio da parte di queste bande. Dal 2007 il GSPC si è legato ufficialmente con Al Qaeda, trasformandosi in Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI). Vi è stato un reciproco vantaggio: Al Qaeda ha potuto estendere in quella zona la sua influenza, mentre il GPSC ha accresciuto il proprio prestigio e la propria visibilità nella galassia fondamentalista islamica, divenendo parte del più famoso gruppo terroristico internazionale. In realtà Al Qaeda e l’AQMI hanno un diverso modo di operare. Mentre Al Qaeda perpetra attentati, l’AQMI pratica e gestisce soprattutto sequestri di persone, al fine di accrescere le proprie risorse da destinare al terrorismo. Inoltre, a partire dalla guerra in Libia vi fu un incremento della circolazione illegale di armamenti in questa zona (Africa Occidentale). La Nato infatti intervenendo nei confronti del regime di Gheddafi, non si occupò degli enormi arsenali divenuti nella confusione della guerra civile facile preda di terroristi o di  bande che poterono facilmente rivendere a terroristi e guerriglieri. La Libia divenne di fatto un grande supermercato di armi. In virtù di questi saccheggi gruppi terroristici disporrebbero di missili in grado di abbattere aerei civili. Anche i Tuareg hanno avuto rilievo nelle vicende belliche di questa area. Molti appartenenti a questa etnia integravano le truppe libiche. Con la disfatta della Libia questi combattenti raggiunsero soprattutto il Niger ed il Mali. E' possibile che alcuni Paesi occidentali abbiano fornito loro salvacondotti in cambio della ritirata dai combattimenti in Libia. Queste milizie tornarono nei Paesi d’origine con armamenti anche sofisticati. Il Niger impose loro al rientro il deposito in frontiera degli armamenti, mentre il Mali ne consentì la detenzione. Queste bande terroristiche 'armate' penetrate in Mali costituirono l’ossatura dei movimenti di opposizione che provocarono una cruenta guerra civile nel Paese, che ebbe un epilogo nel colpo di stato del marzo 2012. Al crollo dell’esercito regolare subentrò lo strapotere dei movimenti islamici. Da queste zone provengono poche notizie, ma tutte sconvolgenti. È in atto una islamizzazione selvaggia. È un errore ritenere che quello che riguarda questa zona abbia esclusivamente una valenza regionale. A partire da questa area si possono destabilizzare altri Paesi ed incidere su equilibri geopolitici e sulla sicurezza mondiale. ROBERTO RAPACCINI