In una realtà internazionale come quella attuale che
si espande culturalmente in modo globale, un italiano scrive la sua visione di
una parte del mondo che è sia geografico che culturale. In quanto uomo di
esperienza professionalmente acquisita come funzionario del Ministero
dell’Interno che ha seguito l’antiterrorismo, il traffico di armi e le
questioni della sicurezza, Roberto Rapaccini descrive un islamismo composito
che non deve essere per forza recepito
come “nemico”. In linea con la sua formazione di organizzatore, l’aspetto
dell’opera è schematica (in opposizione al lato artistico contemporaneamente
presente nell’autore), ma proprio per questo risulta di facile lettura e
soprattutto di chiara esposizione. Nelle disquisizioni con altre persone che lo
hanno letto, viene fuori l’idea che la struttura del libro sia didattica, quasi
un manuale. Le parole arabe usate dal mondo islamico spesso creano confusione
nella persona occidentale, che scambia o accomuna termini, dandone o perdendone
i significati reali. Uno dei meriti di questo scritto sta proprio nel chiarire
quali concetti stiano sotto le parole. Ma poi v’è centrale il tema del
terrorismo; cosa che il sottotitolo evidenzia. L’idea è che in occidente si
tende a vedere in ogni islamico una potenziale minaccia terroristica. Dalla lettura
si evince che Rapaccini, pur non sottovalutando la difficoltà a relazionarsi
con il mondo islamico, non crede che il pensiero dei musulmani voglia
automaticamente e obbligatoriamente fare uso della violenza. Che l’Islamismo
non abbia avuto nulla di simile all’illuminismo è un dato da tenere presente
nel dialogo con quel mondo, in cui i concetti di libertà e democrazia non
coincidono coi nostri di occidentali (“Il concetto di libertà nella
tradizione araba è di recente acquisizione, in quanto storicamente
l’aspirazione di questi popoli è sempre stata prevalentemente la giustizia”).
E ciò può rafforzare il fondamentalismo (“L’Islamismo quindi non è solo una
religione: nella realtà storica si è manifestato come una ideologia”) e
piegare il desiderio di democrazia delle rivolte islamiche attuali da una
“Primavera araba” ad una “Primavera islamica”. Ma l’autore mette in guardia chi
pensa all’islamismo come ad una realtà monolitica. Non si possono usare cioè
schemi mentali statici per affrontare l’incontro con la società che non è solo
araba, ma mondialmente distribuita.
L’islamismo non è tutto uguale e non parla tutto arabo; le distanze geografiche
fanno divenire l’Islamismo molto sfaccettato culturalmente (“Fin dalla sua
prima diffusione…i popoli convertiti…assimilarono la fede musulmana modulandola con la propria cultura
e…cominciarono a non riconoscere il ruolo di guida esercitato dagli arabi”). Il libro, da un punto di vista storico non
approfondisce l’Islamismo, e i cenni religiosi appaiono solo nella prospettiva
strettamente necessaria allo sviluppo del discorso. Uno dei punti centrali per
spiegare l’Islamismo, per Rapaccini, sta nell’analisi delle nazioni islamiche
come stato sovrano. Nati su strutture tribali, esse non si fondano, per le loro
legislazioni, su idee laiche ma su tradizioni religiose. Quindi le leggi, ma
anche i comportamenti dei singoli individui, vengono regolate da due principali
elementi: il libro sacro del Corano e la “Sunna”, cioè la raccolta delle azioni
e dei comportamenti di Maometto quando era in vita, divenendo punto di
riferimento per ogni musulmano. Ma quando Rapaccini nomina il fondatore della
religione islamica, non accenna al fatto che Maometto stesso aveva creato una
forza armata di attacco e di conquista del territorio, usando violenza e
perpetrando stragi di innocenti. Non si tratta di azioni solo storiche; infatti
essendo Maometto l’ispiratore primo e l’esempio per i musulmani, esse si
vestono di un significato religioso. Divenendo religiose tali azioni di guerra,
diventa più difficile il dialogo, che pure è, non solo possibile, ma
necessario. E’ forse l’unico punto critico dell’opera altrimenti molto preciso.
La presentazione del libro, avvenuta a Terni, ha visto la presenza del sindaco
della città e due altre personalità, Gallerano Lepri (esperto di immigrazione
avendo diretto il relativo Dipartimento del Ministero dell’Interno) e Franco
Giustinelli (è stato senatore PD e membro della Giunta Regionale, che ha
scritto la prefazione e collaborato alla stesura) che hanno fatto tre
interventi ben puntuali, estrapolando davvero l’anima dell’opera, sottolineando
l’opportunità al confronto. Nel suo rispondere alle domande, l’autore ha dato
la percezione di pensare che la storia del passato non debba creare prese di
posizione oppositive, non debba essere la scusa per darsi la colpa e attaccare
l’altro, ma, azzerando tutto per ricominciare da capo, debba invece servire a
comprendere meglio le differenze per un dialogo di avvicinamento. In conclusione il libro porta in sé lo spunto
per un chiarimento tra mentalità. I concetti sono, più o meno, solo accennati e
non approfonditi, questo non è un punto a sfavore ma è proprio il merito dello
scritto. Voglio dire che è come una mappa da utilizzare per approfondire le
tematiche; per questo approvo chi lo ha descritto come un manuale. Rapaccini ha
fornito una base su cui lavorare, un elemento utile per chi voglia andare oltre
e approfondire la sua propria conoscenza dell’argomento. Sky
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