sabato 22 settembre 2012

10. INTERNET NEI PAESI ARABI (seconda parte)



INTERNET NEI PAESI ARABI – Considerazioni generali.  (parte seconda)

Da qualche anno si è assistito ad un aumento della trattazione dei temi religiosi nelle pagine web in arabo, che, in particolare, o si limitano a favorire la diffusione della conoscenza dell’Islam, o contengono note ‘interpretative’.  La maggior parte di questi siti risultano ubicati principalmente nella parte araba del Golfo Persico, nella quale le disponibilità finanziarie consentono uno sfruttamento ottimale delle risorse tecnologiche.  Generalmente questi siti sono di confessione sunnita, che, prevalente nell’area del Golfo, si è diffusa ampiamente in Paesi islamici non arabi come l’Afghanistan e il Pakistan nonché fra i musulmani che vivono in Europa e nel Nord America. Uno studio ha rilevato che le pagine web di contenuto religioso sono il 65 % dei siti web in lingua araba. Alcuni di questi siti, pur avendo un contenuto fortemente integralista e sostenendo anche la necessità dello scontro per motivi religiosi  non solo con i non musulmani ma anche con altri gruppi islamici, sono riusciti a bypassare indenni i divieti ed i filtri messi in atto dagli apparati istituzionali. Molti governi, inoltre, applicando una censura selettiva, che cioè valuta specificamente ogni singolo caso, considerano manifestazioni di libertà di espressione  i siti che, pur essendo estremisti e fortemente integralisti,  hanno un contenuto ‘gradito’. Questi siti hanno progressivamente adottato un linguaggio  meno aggressivo, più formalmente corretto, soprattutto dopo l’11 settembre, a cui è seguito un più incisivo monitoraggio della Rete da parte degli Stati Uniti e dei governi di  alcuni Stati arabi.  I gruppi dell’opposizione infatti avevano presto individuato in Internet, che consentiva di ‘infiltrare’ nei contenuti del web articoli e notizie che esprimessero le posizioni critiche della dissidenza, uno strumento di propaganda alternativo ai più inaccessibili media tradizionali (giornali e canali radiotelevisivi) . La conseguente attività repressiva dele istituzioni pubbliche ha portato all’adozione di rigide misure restrittive della libertà personale nei confronti di giornalisti e attivisti per la democrazia. La repressione non ha ridotto tuttavia l’opposizione che, non trovando più spazio nei rispettivi Paesi, ha cominciato ad operare anche dall’esilio, utilizzando strutture situate all’estero per mobilitare all’interno dei Paesi gli attivisti della dissidenza e diffondere all’estero la conoscenza delle pratiche antidemocratiche ed inique dei loro governi. Alcuni siti si avvalgono di mailing list per diffondere notizie o  informazioni sulle modalità per aggirare i divieti governativi. I governi raddoppiano i loro sforzi per la repressione;formalmente dichiarano di combattere la pornografia e gli atti contrari alla moralità pubblica. Gli omosessuali prima della comparsa di Internet erano ufficialmente inesistenti nel mondo arabo, in quanto erano di fatto completamente incapaci di dichiarare la loro esistenza. Internet ha consentito loro di manifestare la loro esistenza e le loro relative problematiche in quel contesto religioso e politico. Perfino nella ultraconservatrice Arabia Saudita  gli omosessuali hanno creato un sito web. Nonostante i divieti questi siti sono molto popolari e visitati regolarmente, e costituiscono uno strumento per valutare l’atteggiamento delle istituzioni nei confronti delle minoranze. Il software utilizzato da alcuni Paesi per bloccare i siti dell’opposizione si chiama Web filtering: consiste in un servizio che numerose aziende informatiche offrono a pagamento a chiunque, comprese istituzioni pubbliche, volesse inibire l’accesso di utenti a determinati siti memorizzati in una lista attraverso il loro url, ovvero l’indirizzo informatico. I primi filtri vennero utilizzati negli USA nei primi anni ’90 per evitare l’utilizzo improprio dei computer pubblici, che poteva concretarsi, ad esempio, nell’accesso a siti pornografici. Oggi questo tipo di servizio viene utilizzato da Paesi come il Bahrein, lo Yemen, il Qatar, gli Emirati Arabi per bloccare le pagine web che criticano i rispettivi governi e provvedono al raccordo fra i manifestanti ai fini dell’organizzazione di iniziative di protesta. Anche la Tunisia e l’Egitto, prima delle rivoluzioni che hanno cacciato Ben Alì e Mubarak, integravano la lista degli Stati che utilizzavano i filtri antirivolta per contrastare il dissenso. È paradossale che questi programmi sono per lo più prodotti da aziende statunitensi, quali  McAfee, Blue Coat Systems, Palo Alto Networks, Websense, Netsweeper Inc. (Canada).  In altri termini provengono dallo Stato che formalmente è maggiormente impegnato a promuovere la libertà di parola e di dissentire, e finanzia inoltre massicciamente programmi per la diffusione di informazioni per aggirare i blocchi: una tipica schizofrenia occidentale. (continua)  ROBERTO RAPAC CINI