giovedì 3 gennaio 2013

24. RIEPILOGO DELLA SITUAZIONE SIRIANA



Il 2012 è stato un anno di transizione. Per la Siria questo è avvenuto in maniera complessa: nel 2011 si è sviluppata una ribellione, che poi si è trasformata in una guerra civile, con da una parte un regime che voleva imporre con la forza dell'esercito un rigido controllo del Paese e dall'altra fazioni di rivoltosi che avevano obiettivi diversi, ma tutte unite dal comune intento di rovesciare il potere di  Assad. Lo scontro fin dall'inizio è alimentato anche da una maggioranza sunnita, che tollera con difficoltà di essere governato da una minoranza alawita - che è un appendice dell'Islam sciita - a cui appartiene la famiglia Assad. Gli alawiti sono il 6/12% della popolazione siriana e governano il Paese dal 1970, controllandolo utilizzando anche i servizi di sicurezza. Generano  così il risentimento dei musulmani sunniti (circa il 75% della popolazione) e la minoranza curda. Da un punto di vista internazionale, dalla parte dei ribelli, sono schierati Paesi sunniti, in particolare Qatar, Arabia Saudita, Giordania e Turchia, che forniscono equipaggiamenti e attrezzature logistiche, e l'Occidente[1], mentre il regime è spalleggiato dall'Iran e dalla Russia, che forniscono al governo di Damasco rifornimenti in strumenti, armi, e da  Hezbollah provenienti dal Libano[2]. Le proteste nel 2012 hanno assunto un tenore particolarmente violento, sempre con l'obiettivo di indurre il Presidente Bashar al-Assad a intraprendere una via democratica[3]. Secondo il regime i disordini, sono fomentati dai Fratelli Musulmani, da gruppi legati all'Arabia Saudita e da Al-Qaeda, e vogliono spingere il Paese verso una dittatura islamica. Il regime ha adottato una linea dura contro le dimostrazioni, ricorrendo a violenze e provocando molte vittime aprendo il fuoco su civili. In proposito, è ricorso all'applicazione di una legge del 1963 che vietava manifestazioni (poi revocata). Nel frattempo civili e disertori si andavano organizzando, dopo una prima fase, in unità di combattimenti. Decine di migliaia di siriani si sono rifugiati nei vicini Paesi, tra cui la Turchia, la Giordania, il Libano e il Kurdistan iracheno. La Lega Araba ha sospeso la Siria come membr,o e ha inviato nel dicembre 2011 alcuni osservatori per tentare una risoluzione pacifica della crisi. Gli scontri continuano, mentre la maggior parte dei Siriani è asserragliata nelle case in silenzio in preda al terrore. La posizione di Israele è cauta, forse avversa ad un cambio di regime in Siria, che potrebbe cambiare gli equilibri geopolitici dell'area, soprattutto della zona del Golan. I due Paesi sono ufficialmente in guerra, ma in realtà scontri non si verificano dal 1973. Una componente del conflitto sono gli Shabiha[4]. Così sono chiamati coloro che, armati ma spesso vestiti in abiti civili, attaccano i dimostranti nelle manifestazioni contro il governo del Presidente, per dare supporto alla repressione. Sia gli attivisti siriani che alcune organizzazioni per i diritti umani sostengono che gli shabiha siano uno strumento del regime per soffocare nel sangue il dissenso.   ROBERTO RAPACCINI


25.01.2013
  




[1] In particolare, sono dalla parte dei civili la Lega Araba, gli Stati Uniti, l'Unione Europea, gli Stati del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman, Qatar).

[2] Hezbollah, ossia Partito di Dio in arabo, è un partito politico sciita del Libano, dotato di un'ala militare.

[3] Russia e Cina hanno in ripetute occasioni posto il veto a risoluzioni dell'Onu per condannare il regime da Assad con sanzioni, sostenendo che in questo modo si poteva favorire un intervento 'esterno'.


[4] In origine erano chiamati  Shabiha i teppisti.