Il
2012 è stato un anno di transizione. Per la Siria questo è avvenuto in maniera
complessa:
nel 2011 si è sviluppata una ribellione,
che poi si è trasformata in una guerra civile, con da una parte un regime che voleva
imporre con la forza dell'esercito un rigido controllo del Paese e dall'altra fazioni
di rivoltosi che avevano obiettivi diversi, ma tutte unite dal comune intento
di rovesciare il potere di Assad. Lo scontro
fin dall'inizio è alimentato anche da una maggioranza sunnita, che tollera con
difficoltà di essere governato da una minoranza alawita - che è un appendice dell'Islam sciita - a cui appartiene
la famiglia Assad. Gli alawiti sono
il 6/12% della popolazione siriana e governano il Paese dal 1970, controllandolo
utilizzando anche i servizi di sicurezza. Generano così il risentimento dei musulmani sunniti
(circa il 75% della popolazione) e la minoranza curda. Da un punto di vista internazionale,
dalla parte dei ribelli, sono schierati Paesi sunniti, in particolare Qatar, Arabia Saudita, Giordania e Turchia, che forniscono equipaggiamenti
e attrezzature logistiche, e l'Occidente[1],
mentre il regime è spalleggiato dall'Iran e dalla Russia, che forniscono al
governo di Damasco rifornimenti in strumenti, armi, e da Hezbollah provenienti dal Libano[2]. Le
proteste nel 2012 hanno assunto un tenore particolarmente violento, sempre con
l'obiettivo di indurre il Presidente Bashar al-Assad a intraprendere una via democratica[3].
Secondo il regime i disordini, sono fomentati dai Fratelli Musulmani, da gruppi
legati all'Arabia Saudita e da Al-Qaeda, e vogliono spingere il Paese verso una
dittatura islamica. Il regime ha adottato una linea dura contro le dimostrazioni,
ricorrendo a violenze e provocando molte vittime aprendo il fuoco su civili. In
proposito, è ricorso all'applicazione di una legge del 1963 che vietava
manifestazioni (poi revocata). Nel frattempo civili e disertori si andavano organizzando,
dopo una prima fase, in unità di combattimenti. Decine di migliaia di siriani si sono rifugiati nei vicini Paesi, tra cui
la Turchia, la Giordania, il Libano e il Kurdistan iracheno. La Lega Araba
ha sospeso la Siria come membr,o e ha inviato nel dicembre 2011 alcuni
osservatori per tentare una risoluzione pacifica della crisi. Gli scontri
continuano, mentre la maggior parte dei Siriani è asserragliata nelle case in
silenzio in preda al terrore. La posizione di Israele è cauta,
forse avversa ad un cambio di regime in Siria, che potrebbe cambiare gli equilibri
geopolitici dell'area, soprattutto della zona del Golan. I due Paesi sono
ufficialmente in guerra, ma in realtà scontri non si verificano dal 1973. Una componente
del conflitto sono gli Shabiha[4]. Così sono chiamati coloro che, armati ma spesso
vestiti in abiti civili, attaccano i dimostranti nelle manifestazioni contro il
governo del Presidente, per dare supporto alla repressione. Sia gli attivisti
siriani che alcune organizzazioni per i diritti umani sostengono che gli shabiha
siano uno strumento del regime per soffocare nel sangue il dissenso. ROBERTO RAPACCINI
25.01.2013
[1] In particolare, sono dalla parte
dei civili la Lega
Araba, gli Stati Uniti, l'Unione Europea, gli Stati del Consiglio di Cooperazione del Golfo
(Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman, Qatar).
[2] Hezbollah,
ossia Partito di Dio in arabo, è
un partito politico sciita del Libano, dotato di un'ala militare.
[3]
Russia e Cina hanno in ripetute occasioni posto il
veto a risoluzioni dell'Onu per condannare il regime da Assad con sanzioni, sostenendo
che in questo modo si poteva favorire un intervento 'esterno'.