INTERNET
NEI PAESI ARABI – Considerazioni generali (prima parte)
John
Berry nella ‘Declaration of the Independence of Cyberspace’
(https://projects.eff.org/~barlow/Declaration-Final.html) afferma: “We are
creating a world where anyone, anywhere may express his or her beliefs, no
matter how singular, without fear of being coerced into silence of conformità”
(Stiamo creando un mondo dove chiunque e
ovunque può esprimere le proprie convinzioni, non importa quanto singolari,
senza paura di essere costretto al silenzio imposto dal conformismo).
Questa affermazione vale per la maggior parte dei Paesi del mondo, ma qualche
precisazione va fatta con riferimento alle iniziative dei cybernauti dei Paesi
arabi, nei quali tuttavia l’accesso ad Internet è una realtà ormai consolidata
e gli utenti sono in continuo aumento. Innanzitutto
viene spontaneo chiedersi se questi utenti fruiscono di una libertà di
espressione, adeguata a supplire ai limiti imposti dai loro governi agli altri
mezzi di comunicazione, e se vi è nei vari Stati una specifica normativa
che governa questo settore. Internet ha fornito ad un gran
numero di cittadini dei Paesi arabi e del resto del mondo in generale (anche a
gruppi storicamente privati della libertà di espressione) la possibilità di
manifestare le proprie convinzioni. In passato nelle nazioni arabe cause sociali (ad esempio, l’omosessualità),
politiche (la contestazione dei regimi al potere), motivi religiosi
(l’appartenenza a fedi diverse dall’Islam) avevano penalizzato le voci ‘fuori
dal coro’, impedendo il loro accesso ai mass-media: Internet sembrava poter restituire
ai gruppi che avevano subito le limitazioni della censura le libertà in
precedenza negate. Presto ci si è resi conto che queste valutazioni erano troppo
ottimistiche. I governi arabi hanno percepito che questo mezzo di comunicazione
emergente, potenzialmente svincolato dall’occhio vigile del potere, costituiva
una minaccia in quanto, consentendo libere
comunicazioni e la diffusione di news e informazioni, era in grado di
alimentare proteste e tensioni; hanno quindi intrapreso iniziative per
controllare la Rete ed i suoi utenti. Sono stati adattati alle nuove tecnologie
mediatiche i soliti strumenti per limitare la libertà di espressione, già
sperimentati nei tempi pregressi ovvero la
censura e la confisca. Sono stati innanzitutto
impiegati programmi elettronici di ‘filtraggio’, ‘blocchi’ e ‘sospensioni’,
facendo pressione sugli operatori delle telecomunicazioni nelle ipotesi in cui gli
organismi statali non disponessero direttamente delle infrastrutture di
connessione (tuttavia, con l’uso di telefoni satellitari in determinate
modalità e grazie all’appoggio di aziende e provider stranieri è stato possibile
aggirare questi limiti durante la Primavera araba). Al fine di esercitare un
diretto controllo sulle comunicazioni, alcuni Stati arabi, come l'Arabia e
Tunisia, hanno concesso il monopolio della gestione dei servizi di Internet ad
aziende di Stato. In aggiunta si è anche ricorso alle ‘soluzioni tradizionali’,
ovvero perseguire il titolare della linea identificata che violava il confine
fra il lecito ed il proibito, configurando le condotte ‘sgradite’ come forme di
diffamazione, di danneggiamento della reputazione dello Stato, o come
violazioni della pubblica moralità. Altri
governi hanno risolto il problema ‘alla fonte’, privando inizialmente la gente
di accesso ad Internet con varie giustificazioni. L'ex Presidente iracheno Saddam Hussein, ad
esempio, motivò il divieto di utilizzo della Rete, sostenendo che Internet era
uno strumento di propaganda americano. Comunque, Internet, nonostante l’importante
ruolo che ha avuto durante la Primavera araba, nel mondo islamico sta muovendo ancora
i primi passi rispetto alle realtà occidentali. In questo contesto nel 1991 la
Tunisia è stata la prima nazione ad avere accesso a Internet, che invece è
stato introdotto negli altri Paesi all’inizio della seconda metà degli anni '90 ad eccezione dell’Arabia Saudita e dell’Iraq che hanno fornito i propri cittadini
di questo servizio rispettivamente nel 1999 e nel 2000. All’inizio gli
organismi governativi, non rendendosi conto delle potenzialità del nuovo
strumento, hanno incoraggiato la diffusione dell’informatica. Tuttavia la libera diffusione di Internet significava
dotare la popolazione di un importante strumento di comunicazione in maniera
indiscriminata, ovvero senza distinguere se l’utente fosse un esponente del
governo o un dissidente, o un attivista per i diritti umani, un islamico o un
ateo o un appartenente ad altre fedi, un uomo o una donna. Quando i governi
arabi hanno avuto la consapevolezza delle potenziali insidie connesse alla
diffusione dell’accesso alla Rete è iniziata una nuova fase. (continua) ROBERTO RAPACCINI
L'attività di Internet nei Paesi arabi |