mercoledì 12 settembre 2012

8. INTERNET NEI PAESI ARABI (prima parte)

INTERNET NEI PAESI ARABI – Considerazioni generali (prima parte)

L'attività di Internet nei Paesi arabi
John Berry nella ‘Declaration of the Independence of Cyberspace’ (https://projects.eff.org/~barlow/Declaration-Final.html) afferma: “We are creating a world where anyone, anywhere may express his or her beliefs, no matter how singular, without fear of being coerced into silence of conformità” (Stiamo creando un mondo dove chiunque e ovunque può esprimere le proprie convinzioni, non importa quanto singolari, senza paura di essere costretto al silenzio imposto dal conformismo). Questa affermazione vale per la maggior parte dei Paesi del mondo, ma qualche precisazione va fatta con riferimento alle iniziative dei cybernauti dei Paesi arabi, nei quali tuttavia l’accesso ad Internet è una realtà ormai consolidata e gli utenti sono in continuo aumento.  Innanzitutto viene spontaneo chiedersi se questi utenti fruiscono di una libertà di espressione, adeguata a supplire ai limiti imposti dai loro governi agli altri mezzi di comunicazione, e se  vi è nei vari Stati una specifica normativa che governa questo settore.   Internet ha fornito ad un gran numero di cittadini dei Paesi arabi e del resto del mondo in generale (anche a gruppi storicamente privati della libertà di espressione) la possibilità di manifestare le proprie convinzioni. In passato nelle  nazioni arabe cause sociali (ad esempio, l’omosessualità), politiche (la contestazione dei regimi al potere),  motivi  religiosi (l’appartenenza a fedi diverse dall’Islam) avevano penalizzato le voci ‘fuori dal coro’, impedendo il loro accesso ai mass-media: Internet sembrava poter restituire ai gruppi che avevano subito le limitazioni della censura le libertà in precedenza negate. Presto ci si è resi conto che queste valutazioni erano troppo ottimistiche. I governi arabi hanno percepito che questo mezzo di comunicazione emergente, potenzialmente svincolato dall’occhio vigile del potere, costituiva una minaccia in quanto,  consentendo libere comunicazioni e la diffusione di news e informazioni, era in grado di alimentare proteste e tensioni; hanno quindi intrapreso iniziative per controllare la Rete ed i suoi utenti. Sono stati adattati alle nuove tecnologie mediatiche i soliti strumenti per limitare la libertà di espressione, già sperimentati nei tempi pregressi ovvero  la censura e la confisca. Sono stati  innanzitutto impiegati programmi elettronici di ‘filtraggio’, ‘blocchi’ e ‘sospensioni’, facendo pressione sugli operatori delle telecomunicazioni nelle ipotesi in cui gli organismi statali non disponessero direttamente delle infrastrutture di connessione (tuttavia, con l’uso di telefoni satellitari in determinate modalità e grazie all’appoggio di aziende e provider stranieri è stato possibile aggirare questi limiti durante la Primavera araba). Al fine di esercitare un diretto controllo sulle comunicazioni, alcuni Stati arabi, come l'Arabia e Tunisia, hanno concesso il monopolio della gestione dei servizi di Internet ad aziende di Stato. In aggiunta si è anche ricorso alle ‘soluzioni tradizionali’, ovvero perseguire il titolare della linea identificata che violava il confine fra il lecito ed il proibito, configurando le condotte ‘sgradite’ come forme di diffamazione, di danneggiamento della reputazione dello Stato, o come violazioni  della pubblica moralità. Altri governi hanno risolto il problema ‘alla fonte’, privando inizialmente la gente di accesso ad Internet con varie giustificazioni.  L'ex Presidente iracheno Saddam Hussein, ad esempio, motivò il divieto di utilizzo della Rete, sostenendo che Internet era uno strumento di propaganda americano. Comunque, Internet, nonostante l’importante ruolo che ha avuto durante la Primavera araba, nel mondo islamico sta muovendo ancora i primi passi rispetto alle realtà occidentali. In questo contesto nel 1991 la Tunisia è stata la prima nazione ad avere accesso a Internet, che invece è stato introdotto negli altri Paesi all’inizio della seconda metà degli anni '90 ad eccezione dell’Arabia Saudita e dell’Iraq che hanno fornito i propri cittadini di questo servizio rispettivamente nel 1999 e nel 2000. All’inizio gli organismi governativi, non rendendosi conto delle potenzialità del nuovo strumento, hanno incoraggiato la diffusione dell’informatica.  Tuttavia la libera diffusione di Internet significava dotare la popolazione di un importante strumento di comunicazione in maniera indiscriminata, ovvero senza distinguere se l’utente fosse un esponente del governo o un dissidente, o un attivista per i diritti umani, un islamico o un ateo o un appartenente ad altre fedi, un uomo o una donna. Quando i governi arabi hanno avuto la consapevolezza delle potenziali insidie connesse alla diffusione dell’accesso alla Rete è iniziata una nuova fase. (continua) ROBERTO RAPACCINI