mercoledì 22 agosto 2012

6. IL PROGRAMMA NUCLEARE DELL’IRAN


Siamo abituati a considerare l’Iran un Paese dai connotati fortemente irrazionali, soprattutto per pregresse eclatanti iniziative nel campo della politica estera. Tuttavia la decisione di questi ultimi tempi di intraprendere un programma nucleare, con il probabile intento di dotarsi di armamenti atomici, appare invece fondarsi su principi molto logici, sebbene non condivisibili. Per giungere a questa conclusione è necessario svolgere alcune considerazioni. Nella seconda metà del XX secolo, fino agli anni ottanta, la contrapposizione fra mondo arabo (o, più ampiamente, islamico) e Occidente aveva come unico fronte la questione medio - orientale, o, più precisamente ‘israelo –palestinese’: in questo contesto il mondo si divideva fra alleati di Israele e simpatizzanti dei Paesi arabi limitrofi ad esso. Successivamente la contrapposizione tra Islam ed Occidente ha compiuto un salto qualitativo. Si è globalizzata sostituendo il vuoto geopolitico lasciato dalla caduta del muro di Berlino. In altri termini, alla contrapposizione tra Occidente e Paesi comunisti si è sostituito il fronte fra Islam ed Occidente. In questo contesto le questioni locali, come quella medio-orientale, hanno ridotto la loro importanza sfumando in un quadro molto più generale. L’Iran con le sue iniziative si è andato progressivamente accreditando come la punta avanzata del fondamentalismo islamico, mentre gli USA costituivano l’avamposto dell’Occidente. Questa nuova realtà cominciò evidenziarsi a tutti in maniera evidente con la crisi politica che si ebbe fra Iran e Stati Uniti nel ’79 a Teheran a seguito del sequestro di una cinquantina di membri dell’Ambasciata americana durante la rivoluzione che sostituì alla monarchia una repubblica islamica. Peraltro da allora le Rappresentanze Diplomatiche dell’Iran in Occidente hanno sempre svolto un ruolo molto attivo da un punto di vista politico ed operativo. L’Iran tuttavia è un Paese che ha vari fronti: innanzitutto nell’ambito del mondo islamico la sua leadership non è pacifica. E’ un Paese a maggioranza Sciita. Gli Sciiti sono solo il 10-20% degli islamici nel mondo. Inoltre l’Iran coabita con una forte latente contestazione interna soprattutto di estrazione giovanile. Se la contestazione, come è avvenuto in altri Paesi in occasione della Primavera Araba, si manifestasse più apertamente, l’eventuale dura reazione del regime potrebbe determinare l’intervento esterno anche di Paesi occidentali e conseguentemente, la possibile caduta del regime degli Ayatollah, come analogamente è avvenuto in altri Paesi quali la Libia e l’Egitto, guidati da governi che sembravano particolarmente saldi. Nell’ambito di queste tensioni e utilizzando le potenzialità fornite dalla Rete nel dicembre del 2011 gli USA hanno aperto sul Web un'ambasciata virtuale con l’intento di comunicare con gli iraniani in assenza di legami ufficiali fra i due Paesi. L’Ambasciata‘virtuale’ è uno strumento per svolgere un’attività di informazione presso l’opinione pubblica iraniana. Le autorità iraniane hanno manifestato una forte irritazione per questa iniziativa che considerano un’ingerenza nei loro affari interni. La minaccia nucleare pertanto è uno strumento estremo che il Paese può frapporre per contenere eventuali iniziative ostili esterne di supporto ad un’eventuale ‘primavera iraniana’, cioè ad una contestazione interna. Principalmente il concretizzarsi di questa minaccia ha determinato iniziative politiche ed economiche (come embarghi commerciali) da parte di Paesi ed istituzioni occidentali o, intimidazione dissuasiv e belliche come quelle paventate da Israele. Un’ultima considerazione: la compattezza dei fronti geo-politici, come quello fra Islam e Occidente, è minata dagli interessi economici e finanziari. Si pensi, ad esempio, alla pregressa ‘amicizia’fra Talebani e il governo americano, che sperava di riuscire a costruire con il loro appoggio un oleodotto che collegasse le zone ricche di petrolio del Caucaso, sulle quali vi erano oggettivi interessi di una compagnia americana, con uno sbocco marittimo nell’Oceano Indiano: il petrolio centrasiatico fu il reale motivo che determinò le scelte strategiche statunitensi nei confronti dell’Asia Centrale e dell’Afghanistan in particolare. La frase di un petroliere americano in occasione di un’audizione di fronte al Congresso nel 2001 ben riassume questi intenti: “Finché aKabul non ci sarà un governo che goda della fiducia degli Usa e della nostra compagnia, quell'oleodotto non sarà possibile”. Roberto Rapaccini.